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martedì 27 dicembre 2016

La pressione fiscale reale in Italia


Esclusivo: Simulazione della Pressione Fiscale e Contributiva Reale su 9 figure professionali Dipendenti ed Autonome (tra 64 e 80%)

Simulazione della Pressione Fiscale e Contributiva Reale su un Professionista, un Commerciante ed un Artigiano (tra 66 e 72%)
Simuliamo, calcolando a partire da 3 casistiche comuni, un Professionista che guadagna 80.000 euro, un Commerciante ed un Artigiano che ne guadagnano 40.000 e 20.000 euro, per vedere a monte RETRIBUZIONE LORDA TEORICA ed a valle il netto dopo il pagamento di gabelle, tasse e contributi; in conclusione ho simulato il peso della tassazione indiretta, sulla casa, etc per vedere quanto realmente LA REALE DISPONIBILITA’.
I Risultati sono sconvolgenti:
– la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ per l’artigiano del 66%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro di Reddito, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 66 euro, e solo 34 vanno a lui.
– per il Commerciante la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ del 69%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro di Reddito, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 69 euro, e solo 31 vanno a lui
– per il Professionista infine la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ del 72%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro di Reddito, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 72 euro, e solo 28 vanno a lui


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Passiamo ora ai Lavoratori dipendenti:

Simulazione della Pressione Fiscale e Contributiva Reale su un Dirigente, un Impiegato ed un Operaio (tra 66 e 77%)
Visto che ci siamo riproponiamo una simulazione, calcolando a partire da 3 casistiche comuni, un Dirigente che guadagna 100.000 euro, un Impiegato ed un Operaio che ne guadagno 40.000 e 23.000 euro, per vedere a monte il COSTO DEL LAVORO ed a valle il netto in busta paga; in conclusione ho simulato il peso della tassazione indiretta, sulla casa, etc per vedere quanto realmente LA REALE DISPONIBILITA’.
I Risultati sono sconvolgenti:
– la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ per l’operaio del 66%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro che l’azienda paga, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 66 euro, e solo 34 vanno a lui.
– per l’impiegato e’ la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ del 70%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro che l’azienda paga, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 70 euro, e solo 30 vanno a lui
– per il Dirigente infine la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ del 77%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro che l’azienda paga, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 77 euro, e solo 23 vanno a lui
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No, ma dico, avete capito: l’azienda paga 3 euro al metalmeccanico, 2 se ne vanno in contributi e tasse varie dirette o indirette, e lo sventurato ne prende 1. Per il dirigente, l’azienda paga 4,5 euro, ben 3,5 se ne vanno in contributi e tasse varie dirette o indirette, e questo ne incassa nella realta’ 1.


Simulazione della Pressione Fiscale e Contributiva Reale su un Amministratore Delegato, un Quadro Aziendale ed un Impiegata TD part Time (tra 64 e 80%)
Integriamo la simulazione fatta in precedenza calcolando altre 3 casistiche, un Amministratore Delegato che guadagna 200.000 euro, un Quadro Aziendale ed un Impiegata a Tempo Determinato Part Time che ne guadagno 60.000 e 18.000 euro, per vedere a monte il COSTO DEL LAVORO ed a valle il netto in busta paga; in conclusione ho simulato il peso della tassazione indiretta, sulla casa, etc per vedere quanto realmente LA REALE DISPONIBILITA’.
I Risultati sono sconvolgenti:
– la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ per l’impiegata a tempo determinato part time del 64%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro che l’azienda paga, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 64 euro, e solo 36 vanno a lei.
– per il Quadro aziendale e’ la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ del 73%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro che l’azienda paga, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 73 euro, e solo 27 vanno a lui
– per il Manager, Amministratore Delegato infine la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ del 80%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro che l’azienda paga, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 80 euro, e solo 20 vanno a lui
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No, ma dico, avete capito: l’azienda paga 3 euro alla lavoratrice a tempo determinato part time, 2 se ne vanno in contributi e tasse varie dirette o indirette, e lo sventurato ne prende 1. Per il l’amministratore delegato, l’azienda paga 5 euro, ben 4 se ne vanno in contributi e tasse varie dirette o indirette, e questo ne incassa nella realta’ 1.

Qualcuno mi dira’: ma allora perche’ la Pressione Fiscale e Contributiva complessiva e’ del 45%? Semplice. In primo luogo la si calcola come rapporto tra entrate fiscali e contributive e PIL; il PIL notoriamente include il sommerso: escludendo il sommerso e rifacendo il rapporto col PIL non nero la pressione sale al 55%. Pero’ questa e’ calcolata su tutti quanti: e’ ovvio che i Pensionati e chi percepisce assegni dallo stato non pagano Contributi, per cui ha percentuali minori di pressione fiscale. Chi Lavora, come le persone dei 3 casi di cui sopra, e’ sottoposto a pressioni fiscali e contributive che vanno dal 60% (per un impiegato part time di bassissimo livello) all’80% (per un dirigente di alto livello o un imprenditore). Mi verrebbe da dire: Benvenuti in U.R.S.S.! L’Italia e’ attanagliata da infiniti problemi, e tutti ricercano soluzioni. Bene. Non c’e’ dubbio che una nazione che sottopone IL LAVORO a pressioni fiscali e contributive da Record nel Mondo non va da nessuna parte. Badate che percentuali di questo tipo non trovano riscontro neanche nei paesi del Nord Europa, che tra l’altro hanno anche servizi spesso piu’ efficienti. Meditate!

La Pressione Fiscale effettiva in Italia al 57,2% nel 2012, Record Mondiale.
La pressione fiscale effettiva o legale in Italia nel 2012, cioè quella che in media è sopportata da 1000 euro di prodotto legalmente e totalmente dichiarato, è pari al 57,2% (+2,1% rispetto al 2011): si tratta di un record mondiale. 
La Pressione Fiscale apparente e’ al 47,8% (+1,8% sul 2011) rispetto al PIL. La Spesa Pubblica nel 2012 sara’ pari al 50,9% (+1,0% sul 2011) rispetto al PIL.
Il valore della pressione fiscale effettiva e’ superiore anche a quello di nazioni notoriamente con Stati sociali pesanti e piu’ efficienti del nostro, ed anche con livelli di evasione fiscale inferiori, quali Danimarca, Svezia e Francia. Il record mondiale dell’Italia nella pressione fiscale effettiva dipende parimenti dall’elevato livello di sommerso economico e dall’elevato livello delle aliquote legali.
Di seguito le elaborazioni grafiche su dati ISTAT dal 2000 al 2012 di:
  • Entrate ed Escite Totali in rapporto al PIL
  • Indebitamento e Saldo Primario in rapporto al PIL
  • Entrate Totali in rapporto al PIL sottraendo il sommerso (Pressione Fiscale Effettiva)
gpg1 5 Copy Esclusivo. La Pressione Fiscale effettiva in Italia al 57,2% nel 2012, Record Mondiale.

Ovviamente la pressione fiscale complessiva effettiva e’ al 57,2%, perche’ e’ pari alla media di quella:
  • delle Imprese (calcolata da vari studi internazionali mediamente al 68% in Italia e record assoluto Mondiale),
  • dei Lavoratori (calcolata a seconda delle casistiche tra il 64% e l’80%, anche in questo caso Record Assoluto Mondiale),
  • e quella sui Pensionati, Persone assistitite ed altre categorie (che generalmente non hanno contributi previdenziali da versare e perfanto sono soggetti a pressione fiscale inferiore).

(*) Reload di una serie di articoli di simulazioni fatte da Scenarieconomici.it, l’ultima della quale il 10 Luglio 2013

Il fallimento della democrazia




vauro-democrazia-banche
Parlare di fallimento della democrazia è per la prima volta scalfire un dogma. Però è necessario aprire una discussione su questo punto, perché se ora ci troviamo in una grave crisi economica e sociale vuol dire che il sistema che doveva gestire la società, che è quindi il nostro sistema democratico rappresentativo, ha fallito.
Adesso possiamo analizzare il perché di questo fallimento, ma vogliamo premettere che criticare la democrazia non vuol dire riconsiderare i sistemi fascisti o comunisti, vuol dire semplicemente che questo nostro sistema può e deve essere modificato dato che nel lungo periodo non funziona.
Essenzialmente il problema della democrazia sono i politici; essi hanno il ruolo fondamentale di gestire lo stato e di decidere per tutta la comunità, il problema è che la classe politica è l’unica categoria lavorativa che esercita il proprio lavoro senza essere formata. Oggi abbiamo moltissimi economisti, tecnocrati, giureconsulti, imprenditori e politicanti, non abbiamo però delle persone istruite nell’arte della politica, nell’arte di valutare e prendere decisioni per la collettività. Anche i cosiddetti politici professionisti, non sono professionisti della politica, magari lo fossero, sono dei professionisti dell’essere politicante. Quindi, data la mancanza di una formazione politica, siamo governati da dei dilettanti. E questo mio discorso è suffragato dai fatti. Il nostro sistema democratico ha pensato bene che il settore più importante per la sopravvivenza della società sia dato in mano a dei dilettanti. Questa sia chiaro, non è una critica ai nostri singoli politici, ma ad un sistema che non ha pensato a questa serissima problematica.
Ora questo non vuol dire, che per casualità, ci siano stati anche dei grandi politici, ma in linea di massima, in qualsiasi caso non sono in grado di poter fare una politica con la P maiuscola. Questo perché essi devono pensare, oltre che ad arricchirsi prima che finisca il loro mandato, anche alle esigenze del proprio elettorato per potersi fare rieleggere e quindi non faranno mai una politica pensando all’intera comunità, ma soltanto ad una parte di essa e men che meno pensando alle generazioni future. Su quest’ultimo punto vogliamo insistere, perché è proprio la mancanza di una politica lungimirante, che ci sta portando al collasso. Tutti i governi hanno sempre pensato di risolvere i problemi che gli si ponevano di fronte e mai hanno pensato ai problemi che potessero sorgere dopo qualche anno. E questo non è colpa loro, perché sarebbero comunque impossibilitati a farlo dato che devono fare ciò che interessa al proprio elettorato qui ed ora.
Questo ha comportato una fallimento economico, sociale e anche ambientale. In economia i governi occidentali si sono comportati e continuano a comportarsi al contrario del “buon padre di famiglia”. Essi nei periodi di crescita economica hanno continuato a fare debito e a dare tutto a tutte le categorie sociali e ora nei periodi di recessione vogliono rimediare con tagli e tasse, ecco un buon esempio di come le classi politiche elette democraticamente pensino esclusivamente al qui ed ora.
Invece una politica economica equilibrata, avrebbe dovuto nei periodi di crescita economica diminuire il debito pubblico, quindi aumentare le tasse, snellire l’apparato statale e investire in fattori di stabilità e importanza per il futuro come la ricerca, gli investimenti militari, la manutenzione delle infrastrutture esistenti, quindi investire sulla fortificazione dello stato. Durante i periodi di stagnazione e recessione, tagliare le tasse, liberare risorse per gli ammortizzatori sociali, fare debito (dato che il debito sarebbe stato basso), tagliare le spese militari, investire in grandi opere che creino occupazione.
Questa sarebbe stata la politica da “buon padre di famiglia”. Ora invece è impossibile invertire la rotta, perché il debito è troppo alto per poter dar vita ad una politica economica di rilancio, quindi siamo come un malato di cancro in fase terminale con cui ci si continua ad accanire con la chemioterapia. L’unica soluzione per l’economia europea è un reset, non c’è altra scelta. Le uniche alternative ad un reset sono la lenta devastazione delle nostre economie e impoverimento continuo, con tutti gli scontri sociali che questo comporterà oppure la guerra, perché come è storicamente dimostrato i problemi interni vengono spesso risolti scaricandoli verso l’esterno (vedi Francia con il Mali, vedi Argentina con la Falkland, vedi Giappone e Cina).
Come si concluderà la nostra crisi, lo vedremo con i nostri occhi, ma sicuramente essa è la dimostrazione del fallimento di una dogma, quello democratico. Spero si possa aprire un giorno una seria riflessione su come ovviare a questi difetti senza inficiare la volontà popolare.
Perché la democrazia odierna ha dimostrato il suo fallimento? Perché la stessa volontà popolare è diventata secondaria rispetto alla volontà dei mercati e dei creditori, quindi rimane la parvenza di democrazia, ma in realtà da quando è iniziata la crisi, essa non esiste più.
E’ necessario un cambio di paradigma perché ci sono dei problemi serissimi che a breve dovranno essere valutati: 1) lo storico superamento economico da parte di nazioni extra-occidentali.  2) il grave peggioramento delle condizioni ambientali.  3) la lotta per risorse sempre più esigue rispetto all’aumento della popolazione.  4) l’avvento della robotizzazione e della nanotecnologia, una singolarità tecnologia che difatti ci costringerà a valutare un cambio radicale del nostro sistema, perché la disoccupazione creata da queste macchine non sarà sostenibile dall’odierno sistema economico.
Concludendo, problemi epocali stanno emergendo, e sarà necessaria una classe politica che possa pensare a lungo periodo, se no, ci troveremo o schiavi dei cinesi o con un ambiente distrutto o con una crisi sociale senza precedenti. Spero che il fallimento del nostro sistema democratico ed economico dia spazio a nuove idee, ad una nuova Politica.

La politica fiscale quando la stagnazione è secolare

mercoledì 14 settembre 2016

Il Rapporto Genitori-Figli

Articolo preso da: http://www.davidealgeri.com/modelli-di-famiglia-rapporto-genitori-figli.html

Modelli di famiglia: il rapporto genitori-figli

famiglia iperprotettivaQuante volte capita di sentir dire che i giovani d’oggi non sono più motivati ad uscire di casa e trovare la propriaindipendenza e preferiscono vivere con i genitori fino all’età adulta o magari per sempre?
Numerose ricerche in campo nazionale e internazionale dimostrano che questo fenomeno, si sta ormai diffondendo al di là dei confini del Belpaese. Ma nei paesi del nord Europa l’entità del fenomeno è contenuta e segue il prolungamento dei percorsi formativi, mentre nell’Europa Mediterranea i giovani restano in famiglia anche dopo aver iniziato un’attività lavorativa, e ciò provoca un ritardo nella costituzione di nuovi nuclei familiari e nell’assunzione dei ruoli e delle responsabilità che caratterizzano l’età adulta.
Questo particolare fenomeno chiamato “famiglia lunga”, indentifica quei nuclei familiari in cui convivono generazioni diverse di persone adulte in cui si evidenzia una complementarietà tra la posizione protettiva dei genitori e quella di privilegio richiesta dai figli.
Spesso le famiglie scelgono una modalità di interazione comunicativa come chiave risolutiva di tutti i mali causando un irrigidimento della struttura familiare che si trova come imprigionata in un labirinto senza via d’uscita. (E. Giannotti, G. Nardone, R. Rocchi, 2007)
La famiglia viene definita come quel sistema di relazioni fondamentalmente affettive, presente in ogni cultura, in cui l’essere umano permane per lungo tempo, e non un tempo qualsiasi della sua vita, ma quello costituito dalle sue fasi evolutive cruciali.
famiglia unitaOgni sistema familiare privilegia quelle relazioni che si accordano con le convinzioni ideologiche personali di uno o entrambi i genitori. Se le regole che governano tali relazioni diventano troppo rigide si generano i “giochi senza fine”, concetto introdotto da Watzlawick, Beavin e Jackson, nella loro "Pragmatica della comunicazione umana" per descrivere un sistema governato da regole sempre più rigorose che ne impediscono il buon funzionamento, senza che nessuno dei partecipanti trovi il modo per cambiarle.
Il ciclo di vita della famiglia è periodizzato a partire dagli eventi significativi che essa incontra sul suo percorso. Tra gli eventi critici rivestono particolare importanza le entrate, le uscite e perdite dei membri della famiglia, poiché modificano la struttura della stessa e la sua evoluzione nel tempo verso una reciproca differenziazione, nonché il costituirsi dei moltepliciruoli familiari.
Gli eventi critici per eccellenza sono la nascita e la morte, inoltre vi possono essere episodi specifici come il matrimonio o la nascita, oppure fenomeni psicosociali meno circoscritti, come l’adolescenza dei figli.
L’adolescenza è un evento critico in rapporto al quale la famiglia si trova a dover sincronizzare due movimenti antagonisti che si presentano con notevole intensità: la tendenza all’unità(mantenimento dei legami e del senso di appartenenza), cui si contrappone la spinta dell’adolescente verso la differenziazione, l’autonomia e lo svincolo. Quanto più i membri della famiglia manifestano confini psicologici chiari e flessibili, interesse e passione per quanto accade all’altro e non intromissione, vicinanza e non fusione o disimpegno, tanto più la famiglia nel suo complesso riuscirà ad accettare i mutamenti provocati dall’evento critico di questa fase.
problemi e le patologie insorgono, nel rapporto tra adolescente e la sua famiglia, quando la comunicazione diventa disfunzionale e ostacola più che favorire il processo di autonomia e indipendenza del giovane.

La reiterazione che genera i modelli di famiglia

La reiterazione di determinate modalità comunicative nell’interazione tra genitori e figli da origine a modelli diversi di relazioni familiari, i più comuni nella società italiana sono :
  • Modello Iperprotettivo: una famiglia piccola, chiusa e protettiva nella quale i genitori si sostituiscono continuamente ai figli che sono considerati fragili e impediscono loro di crescere. La modalità non verbale più significativa è “il pronto soccorso” ovvero l’intervento immediato dell’adulto a ogni minima difficoltà del figlio. Gli oggetti principi della comunicazione sono la preoccupazione per la salute fisica, l’alimentazione, l’aspetto estetico, i successi e gli insuccessi scolastici, etc. Le cure eccessive vogliono inviare il messaggio: “faccio tutto per te perché ti amo”, ma tale messaggio contiene un’inconsapevole squalifica: “io faccio tutto per te perché forse da solo non ce la faresti”.
  • Modello democratico-permissivo: la caratteristica principale è l’assenza di gerarchie, i genitori sono amici dei figli e mancano di autorevolezza. La tendenza è al dialogo e alla stipulazione di accordi e si persegue l’armonia e la pace in famiglia. L’adolescente che appartiene a questo sistema spesso riferisce di avere un ottimo rapporto con i genitori, fino a quando insorgono serie difficoltà nella sua vita personale (nel rapporto con l’altro sesso o nel rendimento scolastico) e a questo punto emergono difficoltà anche nelle relazioni familiari poiché il figlio non trova nei genitori un supporto stabile e rassicurante.
  • Modello sacrificante: I genitori si sacrificano costantemente per dare il massimo ai figli, aspettandosi che i figli facciano lo stesso, ma essi a volte li imitano, altre volte si mostrano ingrati. I figli maschi spesso vengono esonerati da qualsiasi compito domestico e soddisfatti in tutte le loro esigenze, si mostrano poco entusiasti e scontenti del modello proposto dai genitori e possono sviluppare comportamenti di rifiuto o violenza nei confronti degli stessi, i quali in risposta amplificano la loro tendenza al sacrificio nei confronti dei figli.
  • Modello intermittente: I genitori incerti e disorientati, oscillano da un modello all’altro, sentendosi inadeguati a fronteggiare le sfide educative. I soggetti che fanno proprio questo modello affrontano le situazioni problematiche applicando una strategia senza poi mantenerla nel tempo, per il dubbio che la strategia scelta non sia quella più idonea. I tentativi continui di autocorreggersi provocano nei figli delle controreazioni a cui faranno seguito altri correttivi così da instaurare un “circolo vizioso” di soluzioni fallimentari.
  • Modello delegante: I genitori delegano ad altri il loro ruolo di guida (nonni, insegnanti) e non sono un valido punto di riferimento. Da una parte i genitori rischiano di perdere il filo diretto con le esigenze e l’evoluzione dei figli e spesso compensano le percezioni di inadeguatezza con regali, dall’altra i nonni ricorrono a elargizioni di denaro per riceve affetto; con il risultato che i nipoti sono inondati di beni materiali senza una precisa motivazione. Questi adolescenti percepiscono i genitori come fratelli e non li considerano punti di riferimento autorevoli e attribuiscono ai nonni il ruolo di intermediari per ottenere ciò che desiderano.
  • Modello autoritario: I genitori esercitano il potere in modo deciso e rigido per mostrare che vince il più forte e i figli devono accettare i dettami imposti dai genitori. Questa tipologia di famiglia è improntata al senso della disciplina e del dovere, la figura paterna è dominante sugli altri e la madre assume il ruolo di mediatrice. Le reazioni da parte dei figli possono essere di accettazione o di rifiuto, fino a evolversi in pericolose escalation simmetriche che possono portare i figli ad allontanarsi precocemente dalla famiglia.
famiglia simpsonIn Italia le due tendenze dominanti nello stile educativo dei genitori che possono essere dannose, se estremizzate, sono senza dubbio l’iperprotezione e l’amicizia. Esse infatti, nonostante si basino su un eccesso di amore e protezione, favoriscono la mancata assunzione di responsabilità. Contrariamente all’idea comune che la profusione d’amore non possa che fare bene, l’amore può essere soffocante e addirittura provocare danni più che benefici. (G. Nardone et all., 2007)
Ad ogni modo, non si assume una corrispondenza diretta tra una determinata modalità comunicativa e l’evolvere di una patologia nei figli adolescenti, infatti spesso da una stessa situazione stressante può emergere un soggetto problematico o a rischio di patologia, così come una persona psicologicamente stabile. Ciò che si vuole sottolineare è come l’irrigidirsi e il ripetersi di alcune modalità interattive conduca all’insorgere di problemi.
Lo studio di una tematica come quella dei modelli di famiglia, ci permette di riflettere non solo sui sistemi familiari, ma di fotografare una problematica che non appartiene più unicamente al focolare domestico, ma all’intera società italiana.
Concludendo, come afferma un vecchio proverbio: “figlio troppo accarezzato non fu mai bene allevato”.

Bibliografia

  • E.Scabini, (1995), “Psicologia sociale della famiglia”, Bollati Boringhieri, Torino.
  • G.Nardone, E. Giannotti e R.Rocchi, (2007), “Modelli di famiglia. Conoscere e risolvere i problemi tra genitori e figli”, TEA, Milano.

martedì 23 agosto 2016

Siamo al disastro perché ci siamo illusi di integrare l'islam

Articolo preso da:

http://www.ilgiornale.it/news/siamo-disastro-perch-ci-siamo-illusi-integrare-lislam-1214191.html

"Siamo al disastro perché ci siamo illusi di integrare l'islam"

Il politologo Giovanni Sartori sul politicamente corretto: "La sinistra non ha il coraggio di affrontare il problema"

Giovanni Sartori, fiorentino, 91 anni (quasi 92), considerato fra i massimi esperti di scienza politica a livello internazionale, da anni è attento osservatore dei temi-chiave di oggi: immigrazione, Islam, Europa.








Professore su queste parole si gioca il nostro futuro.
«Su queste parole si dicono molte sciocchezze».
Su queste parole, in Francia, intellettuali di sinistra ora cominciano a parlare come la destra. Dicono che il multiculturalismo è fallito, che i flussi migratori dai Paesi musulmani sono insostenibili, che l'Islam non può integrarsi con l'Europa democratica...
«Sono cose che dico da decenni».
Anche lei parla come la destra?
«Non mi importa nulla di destra e sinistra, a me importa il buonsenso. Io parlo per esperienza delle cose, perché studio questi argomenti da tanti anni, perché provo a capire i meccanismi politici, etici e economici che regolano i rapporti tra Islam e Europa, per proporre soluzioni al disastro in cui ci siamo cacciati».
Quale disastro?
«Illudersi che si possa integrare pacificamente un'ampia comunità musulmana, fedele a un monoteismo teocratico che non accetta di distinguere il potere politico da quello religioso, con la società occidentale democratica. Su questo equivoco si è scatenata la guerra in cui siamo».
Perché?
«Perché l'Islam che negli ultimi venti-trent'anni si è risvegliato in forma acuta - infiammato, pronto a farsi esplodere e assistito da nuove tecnologie sempre più pericolose - è un Islam incapace di evolversi. È un monoteismo teocratico fermo al nostro Medioevo. Ed è un Islam incompatibile con il monoteismo occidentale. Per molto tempo, dalla battaglia di Vienna in poi, queste due realtà si sono ignorate. Ora si scontrano di nuovo».
Perché non possono convivere?
«Perché le società libere, come l'Occidente, sono fondate sulla democrazia, cioè sulla sovranità popolare. L'Islam invece si fonda sulla sovranità di Allah. E se i musulmani pretendono di applicare tale principio nei Paesi occidentali il conflitto è inevitabile».
Sta dicendo che l'integrazione per l'islamico è impossibile?
«Sto dicendo che dal 630 d.C. in avanti la Storia non ricorda casi in cui l'integrazione di islamici all'interno di società non-islamiche sia riuscita.







Pensi all'India o all'Indonesia».
Quindi se nei loro Paesi i musulmani vivono sotto la sovranità di Allah va tutto bene, se invece...
«...se invece l'immigrato arriva da noi e continua ad accettare tale principio e a rifiutare i nostri valori etico-politici significa che non potrà mai integrarsi. Infatti in Inghilterra e Francia ci ritroviamo una terza generazione di giovani islamici più fanatici e incattiviti che mai».
Ma il multiculturalismo...
«Cos'è il multiculturalismo? Cosa significa? Il multiculturalismo non esiste. La sinistra che brandisce la parola multiculturalismo non sa cosa sia l'Islam, fa discorsi da ignoranti. Ci pensi. I cinesi continuano a essere cinesi anche dopo duemila anni, e convivono tranquillamente con le loro tradizioni e usanze nelle nostre città. Così gli ebrei. Ma i musulmani no. Nel privato possono e devono continuare a professare la propria religione, ma politicamente devono accettare la nostra regola della sovranità popolare, altrimenti devono andarsene».
Se la sente un benpensante di sinistra le dà dello xenofobo.
«La sinistra è vergognosa. Non ha il coraggio di affrontare il problema. Ha perso la sua ideologia e per fare la sua bella figura progressista si aggrappa alla causa deleteria delle porte aperte a tutti. La solidarietà va bene. Ma non basta».
Cosa serve?
«Regole. L'immigrazione verso l'Europa ha numeri insostenibili. Chi entra, chiunque sia, deve avere un visto, documenti regolari, un'identità certa. I clandestini, come persone che vivono in un Paese illegalmente, devono essere espulsi. E chi rimane non può avere diritto di voto, altrimenti i musulmani fondano un partito politico e con i loro tassi di natalità micidiali fra 30 anni hanno la maggioranza assoluta. E noi ci troviamo a vivere sotto la legge di Allah. Ho vissuto trent'anni negli Usa. Avevo tutti i diritti, non quello di voto. E stavo benissimo».
E gli sbarchi massicci di immigrati sulle nostre coste?
«Ogni emergenza ha diversi stadi di crisi. Ora siamo all'ultimo, lo stadio della guerra - noi siamo gli aggrediti, sia chiaro - e in guerra ci si difende con tutte le armi a disposizione, dai droni ai siluramenti».
Cosa sta dicendo?
«Sto dicendo che nello stadio di guerra non si rispettano le acque territoriali. Si mandano gli aerei verso le coste libiche e si affondano i barconi prima che partano. Ovviamente senza la gente sopra. È l'unico deterrente all'assalto all'Europa. Due-tre affondamenti e rinunceranno. Così se vogliono entrare in Europa saranno costretti a cercare altre vie ordinarie, più controllabili».
Se la sente uno di quegli intellettuali per i quali la colpa è sempre dell'Occidente...
«Intellettuali stupidi e autolesionisti. Lo so anch'io che l'Inquisizione è stata un orrore. Ma quella fase di fanatismo l'Occidente l'ha superata da secoli. L'Islam no. L'Islam non ha capacità di evoluzione. È, e sarà sempre, ciò che era dieci secoli fa. È un mondo immobile, che non è mai entrato nella società industriale. Neppure i Paesi più ricchi, come l'Arabia Saudita. Hanno il petrolio e tantissimi soldi, ma non fabbricano nulla, acquistano da fuori qualsiasi prodotto finito. Il simbolo della loro civiltà, infatti, non è l'industria, ma il mercato, il suq».
Si dice che il contatto tra civiltà diverse sia un arricchimento per entrambe.
«Se c'è rispetto reciproco e la volontà di convivere sì. Altrimenti non è un arricchimento, è una guerra. Guerra dove l'arma più potente è quella demografica, tutta a loro favore».
E l'Europa cosa fa?
«L'Europa non esiste. Non si è mai visto un edificio politico più stupido di questa Europa. È un mostro. Non è neppure in grado di fermare l'immigrazione di persone che lavorano al 10 per cento del costo della manodopera europea, devastando l'economia continentale. Non è questa la mia Europa».
Qual è la sua Europa?
«Un'Europa confederale, composta solo dai primi sei/sette stati membri, il cui presidente dev'essere anche capo della Banca europea così da avere sia il potere politico sia quello economico-finanziario, e una sola Suprema corte come negli Usa. L'Europa di Bruxelles con 28 Paesi e 28 lingue diverse è un'entità morta. Un'Europa che vuole estendersi fino all'Ucraina... Ridicolo. Non sa neanche difenderci dal fanatismo islamico».
Come finirà con l'Islam?
«Quando si arriva all'uomo-bomba, al martire per la fede che si fa esplodere in mezzo ai civili, significa che lo scontro è arrivato all'entità massima».

venerdì 19 agosto 2016

Over-education



Articolo preso da:



Sono troppi i laureati che fanno lavori da diplomati

Allarme “over-education”


27 Luglio 2013 - 14:25
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Si parla di sovraistruzione quando un laureato svolge il lavoro di un diplomato. Ma quanti sono in Italia gli overeducated? E a che tipo di laurea appartengono? Essere in questa condizione costa: al singolo, ma anche alla società nel suo complesso. Cosa si potrebbe fare per superare il fenomeno.
L’Italia è molto al di sotto degli obiettivi sul livello di istruzione secondaria superiore e terziaria fissati dall’Unione Europea nell’ambito di Europa 2020. Nel corso degli anni, il dibattito si è soffermato sulle cause e i possibili rimedi del basso livello di istruzione, mentre poca attenzione è stata dedicata al fenomeno della sovraistruzione, che si verifica quando un laureato lavora come diplomato.
Quanti sono gli overeducated in Italia? A che tipo di laurea appartengono in misura maggiore? Quanto costa essere overeducated? Come evitare che i giovani cadano in questa condizione? L’overeducation è una forma di spreco di capitale umano per l’individuo, la famiglia, l’università e la società nel suo complesso. L’investimento in capitale umano è estremamente costoso e aiutare le famiglie nelle loro scelte dovrebbe essere un obiettivo fondamentale del sistema di istruzione, non meno della formazione in sé e per sé.
Proponiamo qui una evidenza empirica abbastanza affidabile sul fenomeno dell’overeducation in Italia, fondata sui dati AlmaLaurea., e allo stesso tempo, cerchiamo di riflettere sulle cause, sulle conseguenze e i possibili rimedi. (1)
Nei dati a disposizione, l’overeducation si verifica quando il titolo di studio non è stato necessario per acquisire il posto di lavoro, mentre l’overskilling si verifica quando le competenze acquisite nel percorso di studio non sono utili allo svolgimento del proprio lavoro.
Queste definizioni non devono trarre in inganno. L’overeducation e l’overskilling non denotano necessariamente troppo capitale umano, ma esattamente il contrario. Per capire l’arcano, va considerato che il capitale umano è costituito non solo dall’istruzione, ma anche dall’esperienza lavorativa generica, cioè trasferibile da un lavoro all’altro, e specifica, cioè acquisibile solo in un certo tipo di posto di lavoro. Il punto è che i nostri laureati hanno molte conoscenze teoriche, ma poche competenze pratiche, ciò che li spinge a lavorare in posti di lavoro che non utilizzano neppure le loro competenze teoriche.
L’overeducation e l’overskilling persistono anche a cinque anni dalla laurea con percentuali dell’11,4 e dell’8 per cento rispettivamente. La figura 1 riporta le percentuali per tipo di laurea, che resta senz’altro la determinante più importante sia dell’overeducation che dell’overskilling. L’overeducation oscilla fra zero e il 2,8 nel caso di medicina, architettura, chimica e farmacia, ingegneria e scienze; è invece oltre il 10 per cento per geologia e biologia (10,2 per cento), educazione fisica (12,2 per cento), lingue (13,2 per cento), scienze politiche (14 per cento) e letteratura (17,9 per cento). L’overskilling segue all’incirca lo stesso pattern, con una percentuale leggermente maggiore in ciascun tipo di percorso di studio.
LavoceFonte: nostra elaborazione su dati AlmaLaurea
La qualità della preparazione universitaria, misurata dal voto di laurea, ma anche dalla durata degli studi e dalla formazione post-lauream, incide molto sulla probabilità di overeducation/overskilling, suggerendo che l’overeducation dipenda non solo dalla bassa domanda di laureati, ma anche da una formazione poco orientata allo sviluppo di competenze spendibili nel mondo del lavoro.
Le esperienze formative post-laurea, la frequenza di corsi di formazione avanzata e di master rappresentano una sorta di assicurazione contro la probabilità di sovra-istruzione, confermando così l’importanza di rafforzare quelle istituzioni formative capaci di aumentare le competenze specifiche che i laureati non potrebbero acquisire altrimenti, né frequentando l’università né sul posto di lavoro
Le donne sono più spesso overeducated/overskilled, ma quando controlliamo per il tipo di laurea, la loro differenza in termini di rischio di overeducation si annulla poiché è colta già dal percorso di studi. In altri termini, le ragazze scelgono in prevalenza lauree che hanno un maggior rischio di overeducation.
Il background familiare caratterizzato da un livello di istruzione basso aumenta il rischio di overeducation, suggerendo che il nostro sistema, all’apparenza aperto a tutti, in realtà tende a perpetuare la struttura sociale esistente.
Un overeducated/overskilled guadagna fra il 15 e il 25 per cento meno della media dei laureati, proprio perché lavora in un posto per diplomato e usa poco le competenze acquisite all’università. Se si controlla per le caratteristiche osservate dei laureati, la penalità salariale scende al 12 per cento per l’overeducation e al 7 per cento circa per l’overskilling. Ciò conferma che i sovraistruiti hanno caratteristiche del capitale umano inferiori alla media. E spiega in parte perché guadagnano meno degli altri laureati.
Correggendo per il possibile errore nella selezione del campione, dovuto al fatto che non si considerano i laureati non occupati, si è stimato che la penalità aumenta di poco più dell’1 per cento: ciò suggerisce che, come ipotizzato dal job competition model e dal job assignment model, i disoccupati hanno un capitale umano di qualità leggermente inferiore rispetto agli occupati e quindi avrebbero una maggiore probabilità di essere overeducated/overskilled se occupati.
Quanto ai rimedi, vanno considerati sia quelli dal lato della domanda sia quelli dal lato dell’offerta di capitale umano. Dal lato della domanda, è evidente che se ci fosse un tipo di sviluppo economico più orientato a produzioni che usano lavoro ad alta qualifica, la domanda di lavoro per i laureati sarebbe più alta, riducendo la quota degli overeducated/overskilled. Ma per aumentare la domanda occorre anche aumentare l’offerta di capitale umano: lo sviluppo tecnologico a favore delle alte qualifiche è endogeno e si sviluppa quando il capitale umano è abbondante e perciò a buon mercato.
Dal punto di vista dell’offerta, la nostra analisi suggerisce la necessità di intervenire sia sulle istituzioni che regolamentano la transizione scuola-lavoro sia sulle caratteristiche individuali dei giovani. In primo luogo, occorre aumentare la qualità dell’istruzione terziaria e del capitale umano in generale. Non è sufficiente aumentare la percentuale di laureati se questi hanno poi competenze poco collegate al mondo del lavoro. Un miglioramento della qualità dell’istruzione si potrebbe ottenere anche dando piena attuazione al processo di Bologna. Occorre, innanzitutto, rilanciare il percorso del 3+2, con una laurea triennale generalista, orientata al lavoro, con percorsi anche di formazione in azienda, e pieno riconoscimento del titolo di studio nel mondo del lavoro. Invece, il biennio deve essere fortemente specialistico e consentire percorsi di alto profilo, ma pur sempre con formazione in azienda, quando il corso di laurea non è strettamente rivolto alla formazione accademica.
Per coloro che sono fuoricorso oppure abbandonano il percorso universitario principale, bisogna fornire la possibilità dell’università professionalizzante, come in Germania. Spesso il ritardo e l’abbandono universitario sono una conseguenza della scarsa motivazione, dovuta al tempo troppo lungo che occorre per conseguire il titolo e alla scarsa utilità pratica dello stesso percepita dallo studente.
In secondo luogo, occorre migliorare l’attività di orientamento nella scelta degli studi in tutte le fasi del percorso universitario, sia prima, che durante e dopo. Nella fase post-lauream, occorre incentivare l’utilizzo delle competenze teoriche acquisite. Uno strumento potrebbe essere l’apprendistato per l’alta formazione, previsto dal Testo unico del 2011.
(1) Questo articolo è una sintesi di un lavoro più ampio e dettagliato: Caroleo, F.E. e F. Pastore (2013), “L’overeducation in Italia: le determinanti e gli effetti salariali nei dati AlmaLaurea”, Scuola democratica, in corso di pubblicazione.